Il "suggerimento di lettura" di oggi è il saggio di Silvia Giralucci "L'inferno sono gli altri", edito da Mondadori - Strade Blu. Approfitto per invitarvi alla serata di presentazione del libro, che si svolgerà venerdì 20 aprile alle 20.30 nella sala consiliare di Calalzo all'interno delle iniziative della "Settimana della cultura". Eccovi qualche riga che introduce alla lettura del testo.
Gli anni Settanta sono stati anni di grandi passioni, di sogni, di giovani capaci di indignarsi e di ribellarsi. Ma anche anni nei quali veniva da molti sentito come legittimo l’uso della violenza nella politica. Alla memoria, ancor oggi divisa, su quel decennio così importante e ancora attuale nella storia italiana è dedicato il libro “L’inferno sono gli altri” della giornalista Silvia Giralucci. Partendo da un punto di vista umanamente molto interessato alle vicende di quegli anni l’autrice - figlia della prima vittima delle Br, Graziano Giralucci ucciso nella sede del Msi di Padova il 17 giugno del 1974 - va alla ricerca delle ragioni di un decennio, dello spirito del tempo in cui per la politica valeva la pena morire o rischiare di rovinarsi la vita.
Sulle tracce degli ideali e delle tempeste che hanno attraversato quegli anni, Silvia Giralucci ha incontrato alcune persone che, da una parte e dall’altra, hanno vissuto quegli avvenimenti in prima persona gli anni caldi dell’Autonomia padovana e le cui storie, antitetiche e inconciliabili, formano un mosaico di memorie «divise». Cecilia, la sfrontata «ragazza dello yoga», che di quel tempo rimpiange l’ironia e la voglia di cambiare il mondo. Il suo nemico giurato, Guido Petter, insigne docente ed ex partigiano, divenuto bersaglio degli studenti e della violenza estremista. Pietro Calogero, il magistrato che condusse l’inchiesta «7 aprile» e fece arrestare i vertici dell’Autonomia operaia organizzata, sospettati di collusione con le Br. L’«infame» Antonio Romito, il sindacalista che, dopo l’assassinio di Guido Rossa, passò da Potere operaio al Pci e collaborò con la giustizia. Pino Nicotri, il giornalista accusato di essere uno dei «telefonisti» nei giorni del sequestro Moro. E poi, in colloqui più sofferti e difficili, ex autonomi che hanno conosciuto la durezza del carcere ma non si sono «pentiti».Nella ricerca delle ragioni dei «sovversivi» che volevano fare la rivoluzione e nel racconto delle prove di coraggio di chi, per contrastarli, ha messo a repentaglio la proprio vita, è riconoscibile il tentativo di ricucire i lembi di una ferita privata, che però può essere un modo per curare anche le tante aperte da allora sul corpo della società italiana.