Pubblico l'articolo uscito oggi sul Gazzettino di Belluno, che dà il mio punto di vista sulla questione dell'accorpamento dei Comuni del Cadore. Per leggerlo dall'immagine, cliccare sulla foto che si visualizzerà ingrandita.
Dimezzare i comuni. Da 22 a poco più di una decina. Ovvero la nuova geografia del Cadore. Magie rese possibili dall'accorpamento. Mentre rischiano di evaporare i confini della Provincia di Belluno e l'accorpamento con Treviso è lo spauracchio di tanti bellunesi, un altro tipo di accorpamento stuzzica le idee del Cadore. Unione di comuni che si traduce in unità del Cadore. La ricetta di Luca De Carlo, sindaco di Calalzo. «Una riorganizzazione è necessaria - afferma il sindaco -. La mala gestione di uno Stato che mangia molto di più di quanto produce rappresenta una cambiale piombata sulle nostre teste. Abbiamo il dovere di effettuare scelte importanti, che vadano nella direzione di uno Stato più snello, che sappia intercettare i bisogni della gente». Come? Partendo dalle strutture. «Dobbiamo cominciare dal basso - continua De Carlo -. La riorganizzazione deve partire dalle amministrazioni comunali, accorpando comuni omogenei e rendendo più efficienti i servizi. E poi dando vita a macroaree».
Un esempio? «In Centro Cadore dobbiamo passare a tre soli comuni. Calalzo insieme a Domegge e Lozzo. Pieve con i comuni che gravitano attorno e lo stesso per Auronzo. E poi, con la nuova definizione della geografia amministrativa, avremo una macroarea che corrisponde all'unione delle Comunità Montane, da Sappada a Cortina, con Cortina valore aggiunto, molto più utile di una Provincia bellunocentrica».
De Carlo non ha mai fatto mistero delle sue idee riguardo l'inutilità di Palazzo Piloni. Ma quali potrebbero essere i vantaggi della macroarea cadorina?
«Senza dubbio emergerebbe un'area forte, con un peso politico decisamente diverso e una classe dirigente più selezionata». Effetto benefico del passaggio preliminare: l'unificazione dei comuni. «Un accorpamento fa sì che ci siano pochi interlocutori e che emergano le capacità dei singoli. Ora, con tanti piccoli comuni, prolificano le sedie da occupare. Dobbiamo spostare il discorso dalla quantità alla qualità, riducendo i consigli comunali. L'unione dei comuni rappresenta un'ottima scrematura delle capacità. Ma non solo: i benefici vanno nella direzione dell'efficienza e dei servizi al cittadino, e questo deve essere l'obiettivo primario. Ci sono poche risorse? Meglio concentrarle su programmi strategici di area vasta».
Forse però i tempi non sono ancora maturi. «Il primo passo, imposto per legge, è consorziare i servizi. Ma entro due o tre anni credo si possa passare all'accorpamento vero e proprio. Molti colleghi sono perplessi, legati ad un campanilismo chiuso. Ma non bisogna aver paura di cambiare».