È scritto da qualche parte che, quando una guerra comincia,
la prima vittima è la verità e che, quando essa finisce, le bugie dei vinti
vengono smascherate, mentre quelle dei vincitori diventano storia. È vero, manca
però il caso in cui la verità, anziché essere manipolata, viene nascosta,
immersa nell’oscurità di ideologie tanto più insidiose quanto più negate. Se poi
si affonda il coltello della ricerca storica nella torbida materia degli eventi
che sconvolsero la terra in gran parte di quello che Erich Hobsbawn ha chiamato
il secolo breve (ma di lunga ferocia), ecco che i contorni delle responsabilità
e delle colpe dirette o di ritorno sfumano nell’indistinto di un tempo sempre
più lontano e più intaccato dai revisionismi d’annata. I ricordi si spengono e
dove non possono esserci, ossia tra i giovani, vengono facilmente sostituiti da
interpretazioni “trasferite” e dunque esposte ai peggiori passaggi ideologici.
Sappiamo che oggi, in tempi in cui al saluto romano si alternano i pugni chiusi
dei compagni che del brigatismo assassino continuano a fare la stagione di una
giusta lotta al capitalismo, proprio nelle società che più hanno sofferto degli
orrori della guerra nazista e antinazista, allignano forme di un neonazismo che
riportano alle idee e alle simbologie di un sistema politico osceno, che è stato
capace di una organizzazione di morte senza precedenti: un fanatismo alimentato
dalle pulsioni negazioniste e che trova altresì le sue ragioni nella storica
avversione della destra più radicale alle istituzioni e alle regole della
democrazia. Proprio per contrastare il diffondersi di una tale vergognosa
cultura soprattutto con lo strumento della memoria restituita, si sono
consacrate giornate a essa dedicate, a breve distanza l’una dall’altra, ma tra
loro lontane nelle circostanze e nell’opposto significato che le sottende:
perché Auschwitz fu liberata dall’Armata Rossa, il braccio armato di quello
stesso comunismo che doveva macchiarsi della ignobile pratica delle foibe.
Dell’Olocausto, la Shoah ebraica, si seppe subito e la condanna del mondo è
stata unanime: da Anna Franck a Primo Levi, da Peter Weiss alla Arendt, la
“soluzione finale” del nazismo ha trovato i traduttori che ne hanno consegnato
il ricordo alle pagine di una drammatica letteratura di testimonianza e di
denuncia. Lo stesso non è avvenuto per la tragedia che negli anni della guerra e
subito dopo coinvolse le popolazioni dell’estremo confine orientale del Paese,
dove il IX Corpus dell’Armata popolare jugoslava fu applicato alla pulizia
politica ed etnica che avrebbe dovuto, secondo i piani titoisti, purificare le
terre dell’Istria e della Venezia Giulia da tutti gli oppositori – veri e
supposti – della politica annessionistica di Tito (il sanguinoso episodio della
Malga Porzus con i partigiani osoviani massacrati dai garibaldini filo jugoslavi
ne fu la tragica avvisaglia). Nelle voragini carsiche delle foibe, a centinaia
finirono fascisti, antifascisti soprattutto italiani incompatibili con quella
politica: per finirci poteva bastare una qualsiasi denuncia frutto di personale
antipati. Di tutto questo per anni si è parlato e saputo poco, tranne s’intende
che nei luoghi della strage; il pubblico e ufficiale riconoscimento, nonché la
ricostruzione completa di quella orribile vicenda, sono infatti piuttosto
recenti, e molte e complesse le ragioni: dalle coperture politiche alla mutata
situazione mondiale, alla rimozione delle colpe e delle responsabilità di
un’Italia fascista che aveva invaso la Jugoslavia al fianco dei nazisti, spesso
adottandone i metodi di oppressione e repressione. Oggi non si deve tuttavia
abbassare per così dire la guardia, perché l’incomprensione, l’intolleranza, la
discriminazione, la violenza sono sempre in agguato; per questo un plauso va
rivolto all’amministrazione di Calalzo, che ha voluto intitolare la sala
consiliare a Norma Cossetto, la giovane istriana, medaglia d’oro al valor
civile, martirizzata e infoibata dai partigiani slavi nell’ottobre del ’43. Ci
sarà una targa che la ricorderà a tutti coloro che entreranno in quella sala e
quando a farlo saranno i giovani, quel nome e quel sacrificio potranno servire a
richiamarli alla coscienza di una storia da cui bene o male è nata la nostra
Italia, e che perciò è anche la loro.
Intervento di Ennio Rossignoli su Il Corriere delle Alpi di oggi
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